Ciclisti e automobilisti: il rispetto che fa la differenza

il rispetto che fa la differenza

Da quando ho iniziato ad appassionarmi alla bici ho assistito a quella che potremmo definire una continua “rivolta” di chi vive la strada in modo diverso: ciclisti, runner e altri utenti vulnerabili che chiedono maggiore sicurezza. Si discute di accendere le luci, installare cartelli per ricordare il metro e mezzo di distanza, allargare le corsie, usare il campanello, viaggiare in fila o in gruppo. Rivendicazioni che cambiano nei dettagli, ma che esprimono sempre la stessa esigenza di fondo: convivere in sicurezza.

Eppure, al di là delle regole e delle richieste, c’è una voce molto più semplice e universale: quella dei nostri cari, della famiglia, degli amici che ci salutano quando usciamo di casa. La loro richiesta non ha bisogno di codici o riforme: “Fai quello che vuoi, ma torna a casa”.

Negli ultimi tempi ho letto commenti rabbiosi da parte di automobilisti che accusano i ciclisti di occupare troppo spazio o di rallentare il traffico. Dall’altro lato, non mancano i racconti di chi pedala e denuncia la mancanza di rispetto o la distrazione di chi guida un’auto. La verità è che si incontrano ciclisti indisciplinati e automobilisti che non rispettano le regole: nessuna categoria è immune. È per questo che il tema va affrontato senza pregiudizi, con uno sguardo equilibrato.

In Italia il Codice della Strada regola questa convivenza, ma il punto di equilibrio resta delicato. La riforma più recente, ha introdotto l’obbligo per i veicoli di mantenere almeno 1,5 metri di distanza durante il sorpasso di un ciclista: una misura fondamentale, pensata per ridurre i rischi in una delle situazioni più critiche. Restano però invariati i contenuti dell’articolo 182, che disciplina il comportamento dei ciclisti. È possibile viaggiare affiancati solo in determinate condizioni, mentre in presenza di traffico intenso o su strade extraurbane è richiesto di disporsi in fila indiana. Le violazioni prevedono sanzioni amministrative: un richiamo che vale per i ciclisti tanto quanto per gli automobilisti.

Uno sguardo all’Europa mostra approcci molto diversi. Nel Regno Unito, il Highway Code invita i ciclisti a pedalare affiancati quando ciò aumenta la sicurezza, perché rende il sorpasso dei veicoli più simile a quello di un mezzo pesante, come un trattore. In Spagna, la legge consente la pedalata affiancata anche fuori dai centri abitati, purché non intralci il traffico. Nei Paesi Bassi e in Belgio, dove la cultura ciclistica è parte integrante della mobilità, i ciclisti possono procedere affiancati quasi ovunque, grazie a infrastrutture dedicate che riducono i conflitti con le auto. Anche l’Irlanda adotta un approccio favorevole, permettendo la pedalata in parallelo in molte situazioni, soprattutto sulle strade meno trafficate o a velocità contenute.

Queste differenze non sono casuali: riflettono scelte culturali e infrastrutturali. Nei Paesi dove la bicicletta è un mezzo di trasporto quotidiano, la normativa tutela maggiormente chi pedala, integrandolo nel sistema di mobilità urbana. In Italia, invece, la bicicletta rimane ancora in bilico tra sport, tempo libero e trasporto, e la normativa conserva un’impostazione più rigida.

Alla fine, però, ogni legge ha un limite: senza educazione stradale resta lettera morta. Non basta conoscere gli articoli del Codice, serve imparare a rispettarsi. Significa capire che il metro e mezzo non è solo un numero, ma uno spazio vitale; che pedalare in sicurezza non è un favore concesso, ma un diritto; che dietro ogni volante e dietro ogni manubrio c’è una persona che qualcuno, a casa, aspetta.

La convivenza tra ciclisti e automobilisti non può ridursi a una guerra di categorie. È una questione di cultura, di responsabilità e di attenzione reciproca. Solo così la strada potrà smettere di essere un campo di battaglia e diventare, finalmente, uno spazio sicuro da condividere.

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